domenica 29 novembre 2009

L'importanza di chiamarsi Mario

Quello che gli pseudo–tifosi non perdonano a Balottelli è soprattutto il fatto che si chiami Mario, e che sia italiano, italiano come loro. E che si comporti come un qualsiasi italiano quando viene insultato e aggredito verbalmente, per di più con epiteti razzisti.

Colpisce come la giustificazione più ricorrente sia “si, ma non sono cori razzisti, Balottelli viene insultato perché è antipatico”, ecc. allora perché gridare, come l’altra sera a Bordeaux, che chi è nero non può essere italiano? Tutto questo mi sembra francamente inaccettabile, frutto del clima avvelenato che in Italia da troppi anni viene alimentato da campagne di intolleranza verso gli stranieri, ed in particolare verso coloro che sono di origine extracomunitaria.

Penso anche che vi siano precise responsabilità per quello che sta avvenendo in Italia, una regia occulta che incanala paure e tensioni per farle scaricare verso quei soggetti che sono individuati come i capri espiatori ideali: oggi sono gli immigrati, ieri erano gli ebrei.
Il periodo storico attuale presenta d’altronde inquietanti analogie con l’epoca della repubblica di Weimar: crisi economica fortissima, causata da dissesti finanziari (crollo di Wall Street), aumento esponenziale delle disoccupazione in Europa e debolezza dei governi moderati e delle formazioni politiche progressiste, divise al loro interno.

Di fronte ad una crisi economica senza precedenti, invece di mettere sotto accusa le cause che l’hanno provocata, ossia il capitalismo sfrenato e senza regole, i governi di destra operano una totale rimozione della verità deviando la rabbia e l’aggressività delle masse verso un capro espiatorio ideale, praticamente senza difese: l’immigrato, un essere umano ancor più sfortunato dei nostri cassintegrati e precari.

E quindi, per tornare al caso di Balottelli, non è accettabile che egli si muova fuori dagli schemi prefissati, ossia quelli di una mansuetudine riconoscente verso i bianchi generosi che gli hanno permesso di diventare un campione: no, è un arrogante, uno che sfotte il pubblico, esattamente come tanti altri giocatori. Ma se da un bianco queste cose si possono tollerare, da un nero sono veri e propri affronti, per la mentalità dei pseudo-tifosi.

Salvo poi ripararsi dietro l’ipocrisia e negare l’intrinseco, ma evidente razzismo di quei cori, di quegli insulti, verso chi ha il solo torto di essere italiano, e nero, e campione di football, e molto altro ancora.

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