domenica 25 maggio 2008

Approvata dal Consiglio Provinciale una mozione per favorire la produzione di compost domestico

Tra le frazioni merceologiche di rifiuto che gravano maggiormente sull’intero sistema gestionale dei RSU va senz’altro annoverata la frazione biodegradabile e, all’interno di questa, la frazione organica putrescibile (ossia l’umido derivante in gran parte dagli scarti di cucina e il verde conseguente a sfalci e potature).
Si calcola l’umido rappresenti mediamente il 30% del totale dei RSU, con una notevole ripercussione sui costi di trasporto e trattamento.

Molti studi ed esperimenti mostrano come l’utilizzo di tale frazione per creare compost possa avvenire per creare concimi di buona qualità che hanno un mercato nel settore agrario e floro-vivaistico.

Posto che anche la nostra Provincia dovrà dotarsi di un impianto di compostaggio, come previsto dal Piano dei Rifiuti in corso di validità, appare importante sensibilizzare la popolazione sull’importanza e utilità della corretta separazione delle frazioni secca e umida dei RSU, poiché da questa prima operazione dipende in larga misura la qualità del prodotto finale e la conseguente possibilità di riutilizzo come fertilizzante agricolo.

La mozione in allegato si propone diversi obiettivi che vanno in questa direzione:
· La creazione di un opuscolo dove vengono spiegati i vantaggi del riuso della frazione umida dei RSU e la loro trasformazione in compost;
· La diffusione dello stesso mediante tutti gli uffici provinciali, le scuole, i Comuni, ecc.
· Fornitura gratuita a chi ne faccia richiesta oppure contributo per l’acquisto di apposite compostiere per il confinamento dei rifiuti da trasformare ;
· Concertazione con i Comuni al fine di ottenere la riduzione della tassa rifiuti per coloro che applichino il compostaggio della frazione umida dei propri RSU;
La mozione è stata oggetto di discussione nella scorsa seduta del Consiglio Provinciale di Genova ed è stata approvata con i voti della Maggioranza. Astenuti i consiglieri di opposizione.

domenica 18 maggio 2008

Immigrazione: e’ la clandestinità che genera illegalità

Maroni: “Nessuna sanatoria ma terremo conto delle badanti”.
Questa frase, riportata tra virgolette sulla Repubblica di stamane, domenica 18 maggio, mi ha fatto sorgere alcune riflessioni sul tema dell’immigrazione.
Di tutte le categorie di lavoratori, solo le badanti sono prese in considerazione. Perchè proprio le badanti? Forse perché, essendo donne, sono percepite come meno problematiche, in termini di sicurezza, rispetto agli uomini?
Certo, accudiscono gli anziani che spesso vivono soli e surrogano così le famiglie di origine e i servizi sociali, indubbiamente più costosi per la comunità. In molti casi, sanno prendersi cura degli anziani usando loro un rispetto e un’attenzione che la nostra società ha smarrito nel vortice consumistico che la caratterizza.
Vi sono però molte altre categorie di immigrati clandestini che trovano lavoro ad esempio nell’edilizia e nell’agricoltura, tanto per fare due esempi: perché questi lavoratori non vengono riconosciuti come risorsa per l’economia? Eppure sono tantissimi, ce ne accorgiamo specie quando muoiono nei cantieri.
Che siano una risorsa lo si capisce anche sapendo quanto percepiscono: pochi euro all’ora, sfruttati dai caporali che decidono chi lavora e chi no. Sono inoltre facilmente ricattabili, proprio per la loro condizione di clandestinità: difficile, se non impossibile, in queste condizioni, rivendicare diritti, sicurezza, rispetto delle regole.

E poi, cosa significa nessuna sanatoria? Se riconosco il ruolo di queste categorie all’interno della società italiana, dovrò pure farlo ufficialmente, altrimenti si dovrebbero ipotizzare forme di regolarizzazione per così dire parziali, comportanti magari minori diritti rispetto a quelle classiche…

All’interno del Governo si parla di “straniero risorsa” distinto da “straniero problema”: mi pare una giusta distinzione, però come li si può distinguere, a priori? Ossia, è dimostrato che solo una esigua minoranza di stranieri venga in Italia con il preciso intento di delinquere. La maggior parte di essi arrivano portando il sogno di una vita migliore, e sono pronti a lavorare anche duramente per realizzare quel sogno. Le leggi attuali impediscono però che il lavoratore senza regolare permesso di soggiorno possa essere messo in regola, salvo tornare nel paese d’origine e attendere, anche per mesi, di essere richiamato dal datore di lavoro attraverso la complicata trafila prevista dalla legge.

In queste condizioni, è purtroppo facile che alcuni di essi cadano nella rete della criminalità organizzata, contribuendo così ad aumentare l’insicurezza e il senso di disagio che serpeggia tra la popolazione.

Come trovare soluzione a questo problema? Innanzitutto cambiando l’attuale legge: si potrebbe ad esempio ipotizzare che un immigrato, arrivato con un visto turistico o per studio, avesse un tempo a disposizione (tre mesi, sei mesi, ecc.) per trovare un lavoro regolare. A garanzia della sua sussistenza, dovrebbe aver versato in una banca una somma stabilita per pagare le spese di vitto e alloggio durante il periodo di ricerca del lavoro (è una pratica in uso anche in altri Stati europei, ad esempio nel caso di permessi-studio). A questo punto riceverebbe un permesso temporaneo e potrebbe dedicarsi alla ricerca del lavoro senza timori di essere irregolare, sapendo che una volta trovato il lavoro e firmato il contratto, questo darebbe diritto ad un permesso di lungo periodo.

Nel caso il lavoro non venisse trovato entro il periodo stabilito, l’immigrato dovrebbe tornare in patria, potendo ritentare ad esempio l’anno successivo. In caso non rispettasse queste regole, l’accesso all’Italia gli verrebbe precluso anche in futuro.

Penso che in questo modo si scoraggerebbe lo sfruttamento dei clandestini così come il business dei viaggi della speranza fatti sui gommoni e i barconi che tanti morti hanno già causato nei nostri mari. I denari dati alla mafia dei clandestini verrebbero portati in Italia e utilizzati regolarmente, dando anche dei benefici alla nostra economia.

sabato 17 maggio 2008

I Circoli del PD: salotti o officine?

Il PD è un partito giovane, nato da pochi mesi e fatto dalle tante persone che hanno creduto in un progetto che guarda al futuro e mette al centro valori quali le pari opportunità, la giustizia sociale, il rispetto delle regole, la solidarietà, la dignità del lavoro, il pluralismo delle idee, per non citarne che alcuni.

La recente sconfitta elettorale è pesante, soprattutto se si considera il risultato complessivo, accorpando le diverse forze che hanno costituito le alleanze. Possiamo tuttavia considerare il risultato ottenuto come una buona base per preparare quelle che saranno le prossime scadenze elettorali, ed agire subito di conseguenza.

Si tratta di ripartire da qui, e le analisi fin qui condotte hanno tracciato un quadro abbastanza chiaro delle cause: delusione della precedente esperienza, paura del futuro, sfiducia nelle ricette proposte dal centro sinistra, percepite come vaghe e poco incisive, incapacità di intercettare quelle che sono le istanze primarie della popolazione, istanze che diventano sempre più “di base” a mano a mano che la percezione dell’insicurezza socio-economica aumenta nella nostra società.

La casa, il lavoro, i rapporti con il sindacato, la convivenza con gli immigrati, la burocrazia, la sanità, la scuola, i trasporti, l’acqua, lo smaltimento dei rifiuti…e tante altre cose ancora, sono temi di cui partiti di destra si sono impossessati brandendoli come clave. Hanno fornito risposte per lo più rozze e di corto respiro, proponendo una visione della società totalmente ripiegata su se stessa, rigidamente sulla difensiva ed incapace di affrontare le sfide che la modernità le pone davanti. Una visione destinata a rivelarsi perdente nel lungo periodo, eppure affascinante per chi, incapace di adattarsi a cambiamenti tanto rapidi e sconvolgenti, pensa di potersi opporre al declino della propria posizione socio-economica innalzando steccati fatti di dazi e protezionismi burocratici.

Detto questo, bisogna riconoscere finalmente che i problemi ci sono e vanno affrontati seriamente, con pazienza e tenacia, andando ad auscultare il grande cuore malato della nostra società. I sintomi di una malattia seria sono evidenti: quando il Censis parla di “familismo amorale”, parla di una società dove è diffusa la sfiducia nelle istituzioni, dove è smarrito il concetto di “bene comune”, dove l’individuo è in perenne lotta con il resto del mondo ed è opprimente il senso di solitudine e di spaesamento nei confronti di ciò che sta appena al di fuori della propria cerchia domestica.

E’ chiaro che senza un recupero della dimensione collettiva della società non sarà possibile portare avanti un progetto come quello del PD, che nella tradizione delle sue componenti di origine e nei suoi valori fondanti ha ben radicata una forte tensione verso il bene comune e una visione solidaristica dei rapporti tra i cittadini.

Penso che, a tal proposito, sia fondamentale il ruolo che i Circoli debbano avere quali anello di congiunzione tra le istanze locali e territoriali e le proposte del partito, che si traducano poi in azioni in grado di dare risposte concrete a quelle istanze.

E’ necessario che i Circoli si aprano il più possibile ad occasioni di incontro e di ascolto con la cittadinanza, non solo con i militanti, ma con quanti vorranno comunicare disagi e condividere proposte. Penso naturalmente al “Popolo delle Primarie” che dopo l’entusiasmo della votazione di Ottobre non è stato mobilitato a sufficienza: come coinvolgerlo a discutere e a partecipare, come riuscire a farlo esprimere e a contribuire al dialogo tra PD e società?

I Circoli possono e devono essere elementi catalizzatori della vita sociale, spazi aperti al dialogo e al dibattito su temi quotidiani, oltre che su temi di più ampio respiro. Pensare globale ed agire in locale: questa è una formula forse già molto sentita, ma che io ritengo sia sempre attuale, anche perché non la si è applicata a dovere, la si è usata più come uno slogan che come un metodo operativo.

I Circoli possono (a mio avviso devono) svolgere un ruolo di promozione culturale e politica circa le azioni da mettere in campo nei confronti del territorio di competenza, devono promuovere incontri con Amministratori locali e nazionali, che a loro volta non possono sottrarsi ad un confronto franco e diretto in ordine alle tematiche sulle quali sono chiamati a svolgere azione di governo.

Da Amministratore penso fra l’altro che sia questo un utilissimo esercizio di ascolto e comprensione delle tematiche che interessano davvero la popolazione: perché questo, non dimentichiamolo, siamo tenuti a fare, ad amministrare nel modo migliore possibile la Cosa Pubblica. E, per farlo, occorre prima di tutto conoscere il territorio e le sue esigenze, monitorandone i cambiamenti, perché nulla è dato per sempre. Se lo si fosse fatto con più continuità, probabilmente il risultato delle elezioni sarebbe stato diverso.

Ora è il momento di ripartire, e i Circoli devono essere le fucine di questo cambiamento: volendo proporre un calendario di azioni da mettere in campo, suggerirei senz’altro che ogni Circolo si dotasse di una lista di temi da trattare a livello locale, per compiere analisi e formulare proposte da sottoporre in seguito alla popolazione mediante pubblici incontri e iniziative cui invitare anche esperti nelle varie materie e gli amministratori competenti per tematica e territorio.

Le competenze vanno costruite giorno per giorno, e le risposte saranno valide solo se deriveranno da un lavoro approfondito sulle diverse tematiche, un lavoro che sappia tenere conto delle complessità che caratterizzano ciascun ambito.

Questo non significa ovviamente una parcellizzazione dell’azione unitaria che il PD deve trovare, perché al contrario, i vari radicamenti territoriali troveranno sintesi e unitarietà nei valori fondanti il nuovo partito, ma varie declinazioni.

In questo modo, le istanze locali potranno trovare la giusta collocazione all’interno di un quadro più generale, senza essere schiacciate o cancellate, e saranno al contrario la linfa vitale circolante nel PD in grado di diffondersi dalla periferia fino al centro, e viceversa, in un continuo e fecondo scambio di esperienze continuamente vive e rinnovate, capace di stare al passo con la società e con i suoi continui cambiamenti.

Il nuovo corso della Rai mette già il bavaglio al TG3: dura protesta della redazione. Veltroni: nessun coinvolgimento del PD in questa decisione

ROMA - Walter Veltroni chiarisce di non avere alcun ruolo nella scelta della Rai di penalizzare lo spazio di approfondimento del Tg3 Primo Piano, che ieri ha suscitato la dura protesta dei giornalisti. "Vedo che qualche esponente politico insiste, per evidenti manie di protagonismo, a coinvolgere il Pd e il suo segretario nella polemica relativa all'annunciata scelta aziendale della Rai che dovrebbe penalizzare gli spazi informativi del Tg3 in seconda serata. Non so di cosa stiamo parlando. Nessuno mi ha mai detto nulla prima, come è giusto e normale che sia. Ho appreso di questa decisione ieri leggendo i giornali scoprendo di aver avuto un ruolo nella vicenda. Tutto questo è paradossale e grottesco" ha detto il leader del Partito Democratico.

giovedì 8 maggio 2008

Quando la violenza è opera di “bravi ragazzi“

Un ennesimo, gravissimo episodio di violenza cieca e bestiale, è accaduto nella città di Verona, operosa e tranquilla città nota ai più per il balcone di Giulietta, o per la stagione lirica che vi si svolge ogni estate.

Un giovane, per futili motivi, è stato selvaggiamente aggredito e picchiato, fino a morirne, da un gruppo di giovani, giovanissimi anzi, che al rifiuto di una sigaretta hanno pensato fosse loro diritto il punire l’affronto con pugni e calci che hanno portato Nicola Tommasoli, questo il nome della vittima, alla morte.

Colpisce, in questa vicenda, come, individuati i responsabili del brutale gesto, subito siano stati definiti come dei “bravi ragazzi”, persone tranquille. Le famiglie ed i legali, prontamente costituitisi a difesa dei responsabili, si sono affrettati a dire che trattatasi di giovani di buona famiglia, studenti modello, addirittura, mentre la Digos ha successivamente chiarito che di alcuni di essi sono noti episodi analoghi di intolleranza quando non di aggressioni a danni di “diversi” perché del sud Italia o extracomunitari. Le stesse famiglie hanno aiutato due degli aggressori a fuggire in Austria, in luogo di responsabilizzare i loro figli sul crimine commesso.

Colpisce, parimenti, come si siano tentati paralleli e fatti confronti tra episodi molto diversi quali, ad esempio, la contestazione dell’invito al salone del libro dello Stato di Israele avvenuta in occasione del primo maggio a Torino da parte di alcuni gruppi della cosiddetta Sinistra radicale.
L’attuale Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha affermato in occasione di una nota trasmissione televisiva che giudicava più gravi i fatti di Torino rispetto all’aggressione perpetrata ai danni di Nicola Tommasoli. Ora, io non condivido il boicottaggio della Fiera in chiave anti Israele, non perché io non sia critica nei confronti della politica di quello Stato, critica avvalorata peraltro dalle numerose risoluzioni dell’ONU che censurano molti comportamenti che Israele adotta nei confronti del popolo Palestinese, ma perché penso che la Fiera sia un’occasione di dialogo e di confronto tra intellettuali e uomini di cultura, e che su questo piano sia possibile effettivamente avviare un percorso di condivisione che porti ad un futuro pacifico ed equo per entrambi i popoli.

Pur con questo doveroso distinguo, non è accettabile che si dica che una contestazione sia pure fatta con clamore e toni accesi è più grave di un selvaggio pestaggio con conseguente omicidio.

Forse si voleva dire che dal punto di vista politico i fatti di Verona sono meno cogenti, in quanto frutto di pura violenza, di disagio adolescenziale, di rabbia metropolitana. E così facendo, la politica si salva l’anima, per così dire. Eppure, non si può non cogliere un forte significato politico nel fallimento del progetto sociale che non ha saputo forgiare le coscienze specie dei più giovani, rendendole al più contenitori di stimoli pubblicitari e di valori attribuiti alle cose, più che alle persone. In questo vuoto esistenziale, dove la cultura è un optional snobistico, la mancanza di strumenti di relazione con il mondo fa individuare nel gruppo o meglio nel branco, l’unico mezzo per costruirsi una identità che per affermare la propria esistenza, deve necessariamente inquadrare dei nemici da sconfiggere, da umiliare: solo così riesce a consolidare ai propri occhi una esistenza altrimenti troppo conscia della sua nullità ed inconsistenza.

Ignoranza, mancanza di una visione solidale e aperta verso il mondo che cambia, paure coltivate ad arte anche da certe formazioni politiche che non cessano di soffiare sul fuoco della paura e della diffidenza ad oltranza di tutto ciò che è appena estraneo e, per questo stesso, temibile o disprezzabile: in questo la politica è responsabile e di questo deve farsi carico.

Condividi