giovedì 25 giugno 2009

PROVINCIA: SI DAL CONSIGLIO ALL’ACCORDO DI PIANIFICAZIONE PER L’AREA DI SERIALLO SUL LAVAGNA

Votata all’unanimità la delibera presentata dall’assessore Paolo Perfigli sul progetto integrato di sistemazione idrogeologica, urbanistica e viaria con insediamento produttivo della Lames a Seriallo di Leivi.

Genova, 25 - Nuovi insediamenti produttivi per il trasferimento della Lames, messa in sicurezza idraulica e soluzione delle criticità viarie della zona. Sono questi i punti chiave dell’accordo di pianificazione - votato all’unanimità dal Consiglio Provinciale e proposto dall’assessore Paolo Perfigli – tra Provincia, Regione, Comuni di Leivi e di San Colombano, sul progetto integrato di sistemazione idrogeologica e urbanistica di Seriallo, nel tratto terminale del torrente Lavagna.

Nel dibattito sulla delibera - che traguarda al successivo e specifico accordo di programma con accesso, tramite la Regione anche alle risorse dei Fas (Fondi per le aree sottoutilizzate) - sono intervenuti con l’assessore Perfigli numerosi consiglieri: Giovanni Collorado (Udc), Giuseppe Vaccarezza (Pdl), Marco Limoncini (Lega Nord), Daniele Biagioni (Udc), Renata Oliveri (Gruppo Misto), Sonia Zarino (Pd), Mario Mario (Pdl), Simone Pedroni (Pd9, Clara Sterlick (Pd) e Angelo Spanò (Verdi).

Per l’assessore Perfigli “è una delibera molto importante per il territorio, risultato di un lavoro tecnico molto lungo e impegnativo che definisce insieme una pianificazione di insediamenti produttivi e contribuisce in modo molto rilevante alla messa in sicurezza idrogeologica e a dare nuove risposte a una viabilità particolarmente difficile nella zona. Mettiamo in moto tutti i meccanismi per avviare l’accordo di programma per favorire la ricollocazione della Lames di Chiavari, azienda di grande importanza produttiva e occupazionale con 280 lavoratori e, fatto questo accordo di pianificazione si potranno utilizzare importanti risorse dei Fas per la sistemazione dell’area e degli aspetti critici per la sicurezza idraulica.”

L’accordo approvato, raccogliendo le indicazioni e prescrizioni regionali di tipo paesistico, territoriale e idrogeologico ha mantenuto solo a Seriallo l’area degli insediamenti, previsti, inizialmente anche a Pian dei Cunei nel Comune di San Colombano Certenoli.

Collorado si è detto “favorevole alla finalità di mantenere la Lames e alla soluzione dei problemi di viabilità e messa in sicurezza”.

Positivo anche il giudizio di Vaccarezza, ma con “un dissenso sul ridimensionamento regionale delle aree” e l’auspicio “che si possa rivedere per un ulteriore polo industriale”.

Pieno appoggio alla pratica da Limoncini “la Lames ha scelto di restare e investire, è un segnale importante e va premiata, e vanno portati avanti anche il disegno infrastrutturale e il tunnel”.

Biagioni “dà atto all’assessorato del lavoro svolto” sul quale è favorevole, ma “stigmatizza la presidente della commissione urbanistica Sterlick" perché “a fronte di sopralluoghi che altre volte sono stati ridondanti, in questo caso ci ha rifiutato un sopralluogo nella zona, nonostante l'importanza della pratica.”

Oliveri definisce l’accordo “una delle poche iniziative per lo sviluppo del territorio” ma critica “il vecchio vizio della Regione di agire 'spannometricamente' su pratiche e prescrizioni, un fatto che la Provincia dovrebbe contrastare.”

Per Zarino “c’è stato un lavoro approfondito e scrupoloso di tutti gli enti e mi fa piacere che anche dall’opposizione si apprezzi il ruolo della Provincia troppo spesso vituperata.”

Maggi ha parlato “di provvedimento condiviso per le sue finalità, ma bisogna che i singoli interventi siano adeguati a un quadro di pianificazione generale e c’è un limite nella visione regionale perché l’ambiente non si salvaguarda non facendo nulla, ma misurando la capacità dell’uomo di intervenire correttamente.”

Pedroni ha detto “la missione della Provincia è dare risposte, come in questo caso, alle esigenze del territorio. Ora servono tempi rapidi e certi di attuazione.”

Spanò, che chiedeva come Biagioni il sopralluogo della commissione, si dichiara favorevole alla pratica “ma con alcuni dubbi sugli aspetti ambientali, speriamo non succeda nulla e che vada tutto bene.”

Sterlick, rivendicando “di poter fare le proprie scelte come presidente di commissione” ha ricordato che un primo accordo di pianificazione era già stato votato nel 2006 e che “non era questo il momento di fare un sopralluogo che non ci avrebbe detto nulla”, mentre quando all’accordo di pianificazione “seguirà per l’area di Seriallo l’accordo di programma “avremmo modo ulteriormente di intervenire e confrontarci per fare un percorso il più possibile condiviso.”

mercoledì 24 giugno 2009

Prosegue, con alcune modifiche all'Accordo di Pianificazione, il percorso dell'insediamento produttivo di Pian Seriallo (Comune di Leivi)

Alcuni giorni fa la Commissione 2a della Provincia di Genova, competente sui temi dell'Urbanistica e della Difesa del suolo, si è riunita per approvare alcune modifiche all'Accordo di Pianificazione concernente il progetto integrato di sistemazione idrogeologica ed urbanistica del tratto terminale del torrente Lavagna, finalizzato alla realizzazione di insediamenti produttivi di Pian Seriallo, appartenenti al Sistema Lavagna del PTC provinciale.

Tali modifiche, conseguenti al voto del Comitato Tecnico Regionale, e a successive note regionali, consistono nella necessità di rimodulare il progetto, limitandolo all'individuazione della sola area di Pian Seriallo (in origine anche l'area di Pian dei Cunei era stata inserita dalla Provincia tra quelle insediabili da realtà produttive).

Allo scopo di superare i rilievi formulati dalla Regione Liguria e di sviluppare gli approfondimenti richiesti è stato costituito un tavolo tecnico composto da dirigenti e funzionari della Regione e della Provincia, il cui scopo era la formulazione di soluzioni equilibrate e convergenti in rapporto alle esigenze di protezione dal rischio idraulico, di riqualificazione ambientale, di progettazione di un nuovo e migliore assetto paesaggistico del fondovalle, di potenziamento dei sistemi insediativi produttivi di rilievo sovracomunale e del correlato consolidamento dei livelli occupazionali.

A seguito del lavoro di tale commissione congiunta sono state poste le premesse per la positiva conclusione dell'iter che apre la via al progetto di insediamento nell'area di Pian Seriallo dello stabilimento della Lames, che sarà anche l'occasione per un complessivo riassetto idaulico, idrogeologico e ambientale dell'intera zona.

La Commissione 2a si è espressa positivamente sulle proposte emerse dal confronto tra gli Enti, ed in particolare sulle modifiche ed integrazioni conseguenti al voto del CTR e successive note; ha espresso parere favorevole, in via preliminare, alla variante al PTCP Regionale, alle proposte di Variante al Piano di Fabbricazione e di Variante di aggiornamento alla disciplina del progetto preliminare del PUC in itinere del Comune di Leivi; ha deliberato infine di dare ulteriore corso all'Accordo di Pianificazione, dando mandato per la sua attuazione alla competente Direzione 3a, in applicazione dell'art. 57 della L.R. 36/97.

venerdì 19 giugno 2009

I sessantenni hanno occupato tutto, ma perché i trentenni non si ribellano?

di Elisabetta Ambrosi, Alberto Rosina da l'Unità

Generazione «rapinata»: un’immagine che ben sintetizza la condizione di chi è giovane nel nostro paese. E ben rappresenta anche il senso di colpa che dovrebbe disturbare il sonno di chi appartiene alla generazione degli attuali sessantenni.

Le loro responsabilità sono molte e chiaramente individuabili. C’è poco da salvare della loro azione pubblica. Ci si ricorderà di loro come di una generazione abile a farsi classe dirigente, spietata nel difendere le proprie posizioni di potere, incurante del bene comune e della crescita dell’Italia.

Conclusa la stagione nella quale lo stato e l’economia hanno fatto leva sul debito pubblico e sulla svalutazione della lira, le nostre élite hanno mostrato impietosamente tutta la loro disarmante incapacità.

A fare le spese di tanta arrogante imperizia dirigenziale sono stati soprattutto gli attuali trentenni, che hanno assistito al drammatico deterioramento di garanzie e prerogative rispetto alle generazioni precedenti e ai coetanei europei. Costretti a rivedere progressivamente al ribasso le proprie aspettative nel loro percorso di transizione alla vita adulta.

In un simile contesto, ci si aspetterebbero dure forme di rivolta e protesta da parte dei giovani. Invece le loro reazioni, se così si possono definire, sono assenti, oppure scarsamente efficaci. Troppo accondiscendenti nell’essere trattati più come figli che come cittadini, nel chiedere come favore dai genitori quanto negli altri paesi si ottiene dallo stato come diritto, in loro hanno prevalso il disincanto, l’inerzia, l’arte tutta italiana di andare avanti vivacchiando.

Rassegnati come chi si sente impotente di fronte a una forza superiore che lo travolge. Sono il ritratto di un paese che ha rinunciato non solo a crescere, ma persino a sopravvivere in maniera dignitosa. Lo specchio di una società squilibrata e iniqua, che non investe sulle sue risorse più vitali e non fornisce ai più capaci le opportunità che meritano.

Una via di fuga è quella di andarsene all’estero. Cacciati come Dante da Firenze. Oppure rimanere, lavorando il doppio per ottenere la metà. Raccontare in dettaglio quale sia lo stato d’animo di un lavoratore con contratto di pochi mesi è indispensabile per capire molte – anche se non tutte – ragioni per le quali i giovani non mettono in atto una dura protesta.

Anche chi ha molti ottimi motivi per protestare, di fatto si trova costretto a pensare a cosa mangerà, da rivoluzionario, una volta che il contratto sarà scaduto. Ciò che rende angosciante la condizione del lavoratore «finito» non è tanto il fatto di non avere un lavoro per tutta la vita, immagine che quasi un po’ spaventa. Ma l’idea di un lavoro a breve o brevissimo termine, e soprattutto, più in generale, il pensiero fisso che si può essere mandati via in ogni momento (e senza qualche protezione in uscita).

Proprio il carattere precario del lavoro, e la strenua lotta per la conquista di una qualche forma di stabilità, sottraggono energia per qualche forma di mobilitazione e di protesta, di rivendicazione dei propri diritti. Chi non ha un contratto forte è incentivato a tacere, se non vuole rischiare il posto.

Certo, questo valeva anche per gli operai di un tempo, come per i lavoratori di tutti i tempi. La protesta è sempre stata rischiosa, ma per i precari lo è ancora di più. E per di più i vari sessanta-settantenni che accusano i giovani di oggi di essere incapaci nell’aprire fronti di critica e lotta forse pensano che un collaboratore a tempo determinato di trentacinque sia come un adolescente, che vive la sua tempesta ideologica, parallelamente a quella ormonale.

L’isolamento e la frammentazione, uniti alla mancanza di una rappresentanza politico-sociale e di parole d’ordine condivise, contribuiscono a ridurre le possibilità di una lotta comune.

Ma tutto ciò non basta a spiegare perché i trentenni di oggi, incapaci di guardare alle conseguenze delle loro microazioni, da un lato continuino infantilmente a contrapporsi gli uni agli altri nel tentativo di vincere la competizione per pochi spiccioli, dall’altro non riescano ad avere quel minimo di lungimiranza per capire che la divisione è funzionale al mantenimento dello status quo (come gli operai di un tempo ben sapevano) e che ogni atteggiamento di servile accettazione delle angherie, di rinuncia ai pieni diritti di cittadinanza sociale, non fa che danneggiare alla fine tutti.

Perché spegne quella carica di vitalità e dinamismo che è l’unico vero motore del cambiamento. Fare proprie le regole di un gioco che non si condivide, rende alla fine ognuno di essi un altro mattone nel muro di gomma – sempre più ispessito – che le prossime generazioni si troveranno davanti.

Giovani che diventano rapidamente vecchi, somigliando sempre di più a chi li ha raccomandati o cooptati. Pallide copie di quei signorotti locali che talvolta almeno posseggono un certo grado di creatività. Elementi perfetti per un ingranaggio che non produce più nulla e dove conta solo l’autoconservazione e la protezione dei piccoli e grandi privilegi acquisiti.

Se il male dell’Italia negli anni ottanta è stato il deleterio rapporto di scambio tra chi governava, da una parte, e partiti di opposizione e sindacati, dall’altra, quello che frena ora il cambiamento è qualcosa di analogo, che potremmo chiamare «consociativismo generazionale». Anche qui esiste una relazione asimmetrica tra i consociati, ovvero tra la generazione che nella sostanza occupa e detiene i ruoli di potere e quella che entra nella vita pubblica.

Proprio come l’opposizione nel nostro paese ha spesso rinunciato alla sua virtuosa funzione di lotta costruttiva avallando invece una logica di spartizione delle risorse, così gli attuali trentenni italiani evitano messa in discussione dell’esistente e protesta, accettando di ottenere come favore quello che negli altri paesi si ottiene perché diritto.

La logica a cui sottomettersi è la seguente: se sei bravo non avrai problemi a trovare, prima o poi, chi ti raccomanda per il lavoro giusto o chi ti coopta per assegnarti la posizione adeguata. Ma ci sarà sempre qualcuno da ringraziare e che condizionerà le tue scelte. Di «guerra», di sano conflitto non c’è traccia. Incapaci di trascendere, almeno un poco e magari con ironia, la sfera angusta della sussistenza materiale, non stimolati a cambiare, la generazione dei settanta e dei primi anni ottanta si lascia vivere insediata nei bui e claustrofobici anfratti del sistema, resi meno spaventevoli da consolle, tv e computer che non necessitano di luce solare. Ma la storia insegna anche che, nonostante gli ostacoli, ogni generazione ha non solo il diritto ma anche il dovere di trovare la propria strada; anzi, quello di doversi guadagnare il proprio spazio di crescita, e se ciò le viene precluso, di forzare il cambiamento, è un destino inevitabile.

mercoledì 17 giugno 2009

La petizione de l'Unità: 5 domande a Berlusconi sul caso Mills

Dal sito de l'Unità
E' arrivata a oltre 600 firme la petizione volontaria aperta sul nostro sito da un lettore padovano, Giuliano Bastianello, su Berlusconi e il caso Mills. Una petizione semplice ma molto popolare, che chiede ai parlamentari, all'informazione libera, alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, di fare cinque semplici domande al presidente del consiglio Silvio Berlusconi (nella foto in Home Page, scattata durante un diverbio con una giornalista de l'Unità che lo incalzava proprio sul caso Mills) su una vicenda che non può essere protetta dalla privacy.

Ecco le cinque domande:

1) Onorevole Berlusconi è vero, o no, che l'avvocato Mills ha lavorato per Fininvest e per la sua famiglia per oltre dieci anni con il preciso incarico di creare e gestire società off shore sulle quali veicolare i proventi di diritti televisivi ed effettuare altre ingenti operazioni finanziarie?

2) E' vero, o no, che la galassia delle società facenti capo a All Iberian veniva alimentata dalla Principal Finance Limited, che era una emanazione della Silvio Berlusconi finanziaria?

3) E' vero o no che i due conti Century One e Universal One, creati da Mills presso la BSI di Lugano, erano intestati, per sua disposizione, ai suoi figli Marina e PierSilvio?

4) Chi ha dato l'ordine a Salvatore Sciascia di consegnare somme di denaro al maresciallo Francesco Nanocchio della Guardia di Finanza affinchè "non usasse la mano pesante" nelle ispezioni per l'accertamento della vera proprietà di Tele+ ?

5) E' vero o no che la Fininvest ha conferito all'avvocato Mills l'incarico di costituire in Lussemburgo una società a lui intestata chiamata Horizon, il cui scopo era quello di occultare la vera proprietà ed il controllo di Tele+ che facevano capo alla Fininvest, in violazione della legge Mammì?

«Il Paese ha diritto di sapere se chi guida il governo ha usato i paradisi fiscali per evadere le tasse», chiosa il primo firmatario della petizione, accessibile all'indirizzo http://petizioni.unita.it/.

lunedì 15 giugno 2009

La nuova colmata a mare di Chiavari: e se ospitasse anche il nuovo polo scolastico?

Il progetto della nuova Colmata che il Comune di Chiavari sta portando avanti si caratterizza per la sua rilevanza in termini di superfici occupate e di cubature da realizzare: ben 80.000 mq di superficie, 7000 dei quali sarebbero riservati all’edilizia privata, 1370 ad attività commerciali, più di 7000 alla ricettività alberghiera e alla ristorazione ed oltre 60.000 ad attività sportive e culturali.
Si parla, tra l’altro, di nuovi campi di calcio, piscine, centro congressi e centro benessere, di una biblio-mediateca e di un albergo a 4 stelle in collegamento con il porto turistico che vedrebbe crescere da 460 a 608 il numero di posti barca.

Non vogliamo qui entrare nel merito della scelta di compiere questo ampliamento, ma piuttosto riflettere sulle destinazioni d’uso per esso individuate, pensando che forse ve ne potrebbero anche essere altre.

L’anno scorso Chiavari è stata al centro di una veemente polemica con la Provincia e con la passata Amministrazione sul tema del reperimento di spazi idonei all’insediamento di un polo scolastico finalmente adeguato alle esigenze formative degli adolescenti del Tigullio. Gli istituti scolastici superiori presenti a Chiavari presentano, come sappiamo, notevoli criticità sul piano strutturale e della sicurezza, e necessitano di ingenti interventi, che le proprietà cui essi appartengono sono riluttanti a compiere. La Provincia paga per questi istituti somme notevoli per l’affitto e sarebbe disponibile a pagare la realizzazione di strutture nuove, se solo si trovassero le aree idonee allo scopo.

Tramontate le alternative proposte a Chiavari in passato, ora non più percorribili per diversi motivi tra cui le scelte dell’Amministrazione stessa, il problema resta irrisolto, tanto che altre Amministrazioni del Tigullio, ossia Lavagna e Sestri Levante, hanno generosamente manifestato la loro disponibilità a farsi carico di questa esigenza non più procrastinabile.

Chiavari vuole d’altronde, comprensibilmente, mantenere il suo ruolo di Città degli Studi e la realizzazione della nuova colmata porta degli elementi nuovi. L’area della colmata si pone, a nostro avviso, come un possibile sito ove realizzare, variando un poco il mix delle destinazioni d’uso previste, il polo scolastico. Una struttura tanto attesa (almeno nelle dichiarazioni), ma per la quale non si riesce proprio a trovare una sede “possibile”.

Dal punto di vista logistico l’area appare ideale perché a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria, e dalle principali linee di autobus costieri e dell’entroterra. Questo consente l’afflusso degli studenti e del personale docente e non docente evitando ulteriori congestionamenti della circolazione viaria.

Sappiamo anche che nell’area della nuova colmata è prevista una dotazione copiosa di impianti sportivi, che potrebbero essere facilmente utilizzati anche dagli alunni del polo scolastico, così come gli spazi verdi. L’area non è peraltro nuova alla funzione scolastica, come testimonia la presenza dell’attiguo istituto Santa Marta.

Sono molteplici, come si può vedere, i vantaggi di una soluzione di questo tipo, che consentirebbe a Chiavari di continuare ad essere la Città degli Studi offrendo una soluzione concreta alle esigenze del suo territorio di riferimento, il Tigullio.

Il tema della formazione è più che mai cruciale se vogliamo offrire ai nostri giovani delle reali opportunità di crescita e di occupazione: per questo dobbiamo sentirci tutti impegnati a garantire loro le sedi più adatte perché i progetti formativi possano trovare la sede migliore e svilupparsi grazie a strutture moderne ed efficienti.

La sede della colmata presenta una serie di potenzialità che dovrebbero essere valorizzate a beneficio della formazione dei nostri giovani, per i quali vale la pena, io penso, “sacrificare” qualche metro cubo di alberghi o di centri commerciali.

domenica 14 giugno 2009

Il ruolo delle Province nelle azioni di contrasto alla crisi in una prospettiva di sviluppo territoriale

Concertazione con Regioni e soggetti locali, supporto a imprese e famiglie, formazione, investimenti pubblici con funzione anticiclica: gli interventi delle amministrazioni provinciali per sostenere il Paese

Roma, 28 maggio 2009 – Se in Italia la crisi sta avendo effetti più attenuati rispetto agli altri Paesi, uno dei meriti è dell’articolazione locale del sistema istituzionale ed economico, con poli territoriali in grado di intervenire prima e con maggiore efficacia nella gestione della crisi. In questo primo semestre, le Province italiane hanno predisposto iniziative, programmi, interventi a breve, medio e lungo termine per contrastarne gli effetti sui territori. L’indagine del Censis, promossa dall’Upi, delinea un quadro complessivo delle strategie partendo da una serie di casi provinciali rappresentativi.

Risposte locali a una crisi globale. Dall’indagine emerge che le Province rappresentano oggi un soggetto di responsabilità istituzionale particolarmente idoneo a fronteggiare la crisi, in grado di mettere in campo strumenti utili a sostenere dal basso il rilancio del sistema-Paese partendo proprio dalle esigenze differenziate dei singoli territori.

La programmazione di medio periodo e i processi concertativi. Un primo ambito d’intervento riguarda l’avvio o il rafforzamento di processi di concertazione sia «in alto» (con le Regioni) che «in basso» (con tutti i soggetti attivi nel territorio di competenza, dagli enti locali alle Camere di commercio, alle organizzazioni di rappresentanza d’impresa e del lavoro). Gli obiettivi sono numerosi: vanno dai tavoli di concertazione per individuare le situazioni di maggiore rischio, fino alle intese programmatiche finalizzate a razionalizzare l’impegno ed eliminare duplicazioni degli interventi.

Il sostegno alle imprese. Altre azioni sono rivolte ai soggetti economici in difficoltà, e sono modulate sulle caratteristiche specifiche del tessuto produttivo locale e sulle modalità con cui la crisi attuale lo sta colpendo. L’elemento di maggiore criticità – soprattutto del Nord industriale – viene individuato nella difficoltà di accesso al credito per le imprese. Per ovviare a questo problema, le Province hanno creato fondi finalizzati ad aumentare le garanzie al credito, ridurre i tassi praticati dalle banche, intervenire nella rinegoziazione dei prestiti. E si rafforzano anche gli interventi, spesso affidati ad incubatori già esistenti, per la creazione e il tutoraggio di nuove microimprese.

La formazione. Si va dall’analisi dei fabbisogni formativi e di riqualificazione, ad azioni formative vere e proprie (attuate con le risorse della precedente programmazione comunitaria del Fse o messe in programma con la nuova stagione di programmazione 2007-2011), fino alla creazione di agenzie formative provinciali dotate di autonomia di gestione. In alcuni casi, alla formazione per lavoratori disoccupati o lavoratori atipici viene collegato un «premio» per le imprese che procederanno ad assunzioni a tempo indeterminato.

Gli interventi sul sistema del welfare. Si concentrano sui lavoratori in difficoltà con misure quali: l’attività di mediazione tra Inps e banche locali per l’anticipo della Cig; il sostegno alle famiglie dei lavoratori colpiti da licenziamento (ad esempio, tramite accordi con gli istituti di credito per il blocco delle rate dei mutui); fondi di sostegno per i lavoratori privi di ammortizzatori sociali; sconti e agevolazioni destinati alle famiglie colpite dalla crisi, come la «family card» locale; azioni contro l’usura per famiglie e imprese basate su meccanismi di defiscalizzazione.

Gli investimenti pubblici con funzione anticiclica. Gli interventi più ricorrenti riguardano la manutenzione straordinaria di strade ed edifici scolastici, ossia il campo elettivo degli investimenti provinciali. Le Province sono tuttavia presenti anche nella riqualificazione urbana, nella difesa del suolo, negli investimenti sul settore idrico e sulla viabilità ciclabile. Ulteriori sforzi attengono gli impegni per il pagamento puntuale dei fornitori e gli accordi di programma per il coordinamento degli interventi in capo ai singoli Comuni.

I vincoli e le difficoltà. Le tante soluzioni adottate dalle Province sono soggette a due vincoli: la difficoltà di programmare gli investimenti a causa del patto di stabilità che, anno dopo anno, interviene con regole diverse sulla gestione amministrativa e contabile degli enti; l’impossibilità di svincolare dal patto di stabilità anche le risorse presenti in cassa, che potrebbero essere destinate al pagamento degli stati di avanzamento dei lavori affidati e all’avvio di nuovi interventi. Molte Province dichiarano di aver approvato ambiziosi Piani triennali delle opere pubbliche che rischiano però di non poter essere concretamente finanziati.

Un programma straordinario di manutenzione. La ricerca del Censis suggerisce di puntare, attraverso l’azione delle Province, su un programma straordinario di manutenzione del Paese, diffuso sul territorio e di semplice gestione amministrativa (può partire nel giro di qualche mese, a differenza delle opere pubbliche infrastrutturali). La manutenzione consente di dare slancio a uno specifico comparto produttivo e occupazionale configurandosi come intervento anticiclico. Potrebbe infatti coinvolgere operatori grandi, medi e piccoli; sollecitare il protagonismo di giovani professionisti, tecnici e strutture terziarie di supporto; garantire ritorni economici per le singole amministrazioni riducendo nei prossimi anni i crescenti costi degli interventi riparativi; rimuovere le aree di degrado migliorando la sicurezza pubblica.

Questi sono alcuni dei principali risultati di una ricerca promossa dall’Upi e realizzata dal Censis, che è stata presentata oggi a Roma, presso la Sala della Pace di Palazzo Valentini, da Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, e discussa da Fabio Melilli, Presidente dell’Upi, Nicola Zingaretti, Presidente della Provincia di Roma, con i Presidenti delle Province di Ancona, Asti, Genova, Mantova, Palermo, Treviso, Varese e Viterbo.

sabato 13 giugno 2009

Il Partito Democratico che vorrei

Vorrei un PD che mettesse al centro della sua azione i concetti di solidarietà, equità, giustizia, laicità, lavoro, rispetto delle regole, stato sociale, libertà di espressione, tolleranza, condivisione delle scelte.

Vorrei un PD dove è facile riconoscersi poichè chiare sono le parole che porta avanti, e dove i tatticismi non sono la regola, dove sono le idee a contare e non i raggruppamenti e le cordate.

Vorrei un PD che tornasse a porre la questione morale, a denunciare il conflitto di interessi, e che scegliesse, senza se e senza ma, di essere dalla parte dei più deboli.

Un PD che sappia prospettare ai giovani una speranza per il futuro, dove contino davvero il merito e non servano raccomandazioni, dove essere di sinistra non è una forma di snobismo intellettuale, ma è una reale occasione di emancipazione sociale.

Un PD vincente, perchè capace di portare avanti una visione protesa verso un futuro migliore per tutti. Un futuro che si costruisce con la formazione di qualità, la ricerca, il lavoro, un futuro che non dobbiamo farci scippare dal pensiero unico del Grande Corruttore.

mercoledì 3 giugno 2009

Sulle infrastrutture ad essere indeciso non è il Partito Democratico

E’ davvero curioso constatare come una occasione di confronto e di dialogo tra amministrazione e cittadini venga stigmatizzata da chi, oggi, si trova all’opposizione e taccia di irresolutezza i promotori dell’iniziativa. Il riferimento è al dibattito sulla Gronda genovese e al giudizio recentemente apparso sul periodico locale “Il Mare” espresso da un consigliere provinciale dell’opposizione, che accusa Sindaco di Genova, Presidente della Provincia e Presidente della Regione (“tutti di sinistra”, si premura di precisare), di “rimbalzarsi responsabilità, scelte, problemi” senza arrivare a risolvere nulla.

Tale giudizio giunge davvero inaspettato se si pensa che il consigliere in questione, in occasione della messa in votazione dell’ordine del giorno con cui il gruppo del Partito Democratico esprimeva in Consiglio parere favorevole al progetto Gronda, si asteneva dalla votazione, non dicendo né sì, né no. Un po’ di coerenza, per favore: chi era l’indeciso, in tale occasione? Di fronte ad una precisa volontà espressa dal Consiglio Provinciale di Genova riguardo alla necessità di portare avanti un’opera complessa ed importante quale la Gronda, il consigliere si astiene, salvo poi accusare gli altri di indecisione.

Infrastrutture importanti come la Gronda, il tunnel della Fontanabuona, viale Kasman vanno discusse e condivise con i territori, per trovare le soluzioni migliori e meno impattanti, ancorché in grado di risolvere le problematiche della mobilità: per questo il dibattito pubblico è stata una esperienza utile che ha sortito l’effetto di migliorare i progetti e portare all’attenzione dei decisori punti critici e proposte migliorative. Certo, la discussione, il confronto e l’ascolto delle istanze dei cittadini non fa parte dello stile di governo del centro-destra, e per questo forse tali pratiche di democrazia partecipata vengono viste più come un fastidio che come una occasione di confronto e di miglioramento dei progetti in campo.

Noi siamo convinti del contrario, e non abbiamo paura di affrontare il dialogo con i cittadini, insieme ai quali vogliamo dar vita ad un modo nuovo e condiviso di operare le scelte che vengono fatte nell’interesse della collettività.

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