venerdì 29 agosto 2008

Una brutta esperienza

E’ successo anche a me, nella mia città: un gruppo di teppisti in motorino mi ha scippato la borsa contenente tutte le mie cose. Così, in un attimo: tornavo a casa in bicicletta, era una sera d’estate, il 26 agosto, e pedalavo tranquilla, come sempre. Ad un tratto, un gruppo di ragazzini in motorino mi si avvicina, e io non ci faccio neppure caso. Arrivo al semaforo, scatta il verde, riparto, e ad un tratto uno mi si para davanti alla bicicletta e, con un gesto fulmineo, afferra la borsa posata sul cestino.
Sono rimasta talmente sorpresa da non avvertire neppure paura, lì per lì pensavo ad un stupido scherzo. Poi mi sono resa conto che facevano sul serio, sono partiti a tutta velocità ed io dietro in bici, ma cosa potevo fare? Ho provato a seguirli, ho visto dove andavano, ma dopo sono spariti, e con loro la mia borsa. Dopo la solita trafila: denuncia, blocco carte, cambio serrature…che rabbia e che tristezza, non rendersi conto di tutti i guai provocati per pochi spiccioli poi, perché neppure il telefono possono usare, dato che ho bloccato l’IMEI…davvero una stupidità gratuita, figlia di cosa, io mi chiedo? Del tutto e subito, del vuoto pneumatico di ogni valore, del bisogno di sentirsi qualcuno rapinando le persone indifese?
Resta tanta tristezza e amarezza, e la consapevolezza di non voler cambiare per questo le proprie abitudini, di essere un po’ più prudente e guardinga, questo sì, ma non voglio piegarmi alla logica che bisogna aver paura. Dove sono passati vi sono delle telecamere, a quell’ora erano i soli a passare in 5 a razzo su dei motorini: spero che li identifichino e li fermino. Non tanto e non solo per me, ma soprattutto per quel che ancora potrebbero fare, se si sentissero ormai al sicuro: penso con orrore a quel branco che ronza intorno ad un bambino, o ad una anziana. La microcriminalità non va sottovalutata, anzi, è proprio combattendo contro quella che si aumenta il senso di sicurezza nelle nostre città. In questo caso quei giovani criminali andrebbero presi e rieducati, per evitare che crescendo si lasciassero andare ad imprese ben peggiori.

martedì 26 agosto 2008

Clandestini nel suo capannone: nei guai un assessore leghista

da L'Unità del 22 agosto 2008
Predicano bene, ma razzolano molto male. I leghisti urlano contro l'immigrazione clandestina e nel frattempo sfruttano gli stessi immigrati per arricchirsi.
Faceva così anche Roberto Zanetti, assessore della Lega alle Attività produttive e presidente degli artigiani di Cartigliano, comune in provincia di Vicenza. Nel capannone di sua proprietà la Guardia di Finanza di Bassano del Grappa ha scoperto un laboratorio di confezionamento di abbigliamento con nove cinesi costretti a lavorare in condizioni pietose.
L'assessore adesso cerca di difendersi dicendosi sconcertato. «Questa storia mi toglie 10 anni di vita, io non ne sapevo niente».
Dopo aver effettuato una serie di controlli nei giorni precedenti, i finanzieri della Compagnia di Bassano sono entrati in azione all'una di notte di mercoledì. Nell'immobile c'erano 9 asiatici. A finire in manette sono state la donna cinese che gestiva il laboratorio, immigrata regolarmente in Italia, e due operai sui quali pendeva già un provvedimento di espulsione, arrestati per violazione della legge (pensa un po') Bossi-Fini. Tre erano regolari, di altri tre non avevano documenti.
Gli operai lavoravano giorno e notte in mezzo a puzza e rumore. Ma nel capannone erano completamente segregati dormendo in due stanzette nascoste dietro un armadio con un solo e lurido wc. Gli otto vivevano come schiavi: lavoravano tutta la notte, non uscivano mai. La "direttrice", almeno, aveva una camera tutta per sè.
«Quando siamo arrivati hanno iniziato a correre e a gridare, ma la cosa che ci ha colpito di più - spiega il capitano Danilo Toma della compagnia di Bassano del Grappa - è stato il doppio fondo che abbiamo trovato su un muro. Da una botola si accedeva alle stanze, di cui una piccolissima, pochi metri quadri con i letti ammassati e un puzzo incredibile».
Per quanto riguarda la posizione dell'assessore, il capitano spiega: «Come il fratello, al momento non è indagato, anche perché il contratto di affitto era regolare». Difficile però credere che la famiglia Zanetti non fosse al corrente di cosa stesse accadendo nel capannone. «La casa dei Zanetti dista poche centinaia di metri», osserva il capitano. In più, non è la prima volta che nel profondo Nord est leghista vengono scoperti laboratori clandestini: «Di casi simili anche in zona ne abbiamo scoperti parecchi», ricorda il capitano.
Zanetti da parte sua cerca di difendesi. «La cinese titolare - spiega Roberto Zanetti - era venuta da noi la scorsa primavera; era stata costretta ad abbandonare la precedente sede, ne cercava un'altra e aveva saputo del nostro capannone. Era iscritta alla Camera di Commercio e, a quanto ci constava, i suoi dipendenti erano a posto con il permesso di soggiorno. Insomma, sembrava tutto in regola e abbiamo perfezionato la locazione, alla luce del sole».
Peccato che "alla luce del sole" però non lavorassero i cinesi. E Zanetti ne era al corrente. «Parevano invisibili - continua l'assessore vicentino - lavoravano di notte, come formiche, non disturbavano. Cosa combinassero là dentro, non lo sapevamo: avevano messo subito le tende alle finestre e non aprivano a nessuno. Consideravamo l'affitto che ci pagavano una sorta di compensazione: in fondo, è proprio per colpa della Cina che abbiamo cessato la nostra attività originaria».
È rimasto «sorpreso e sconcertato» anche il sindaco leghista di Cartigliano, Germano Racchella, nell'apprendere che il capannone dove è stato scoperto un laboratorio cinese clandestino è di proprietà di un suo assessore. «Una bella mazzata - commenta il primo cittadino - Sono sorpreso più come leghista che come sindaco», dice orgogliosamente. Racchella non ha ancora sentito il suo assessore e collega di partito Roberto Zanetti e non lo farà prima di sera. «Ho convocato una riunione - spiega il sindaco - vedremo cosa uscirà dall'incontro».

domenica 17 agosto 2008

Licenziato per aver "screditato" Trenitalia

La vicenda di Dante De Angelis, leader storico dei macchinisti e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, che mette in guardia sulle condizioni dei convogli Fs e viene licenziato a Ferragosto per le dichiarazioni rese alla stampa, è il nuovo episodio sul quale ci troviamo oggi a riflettere. Come passeggeri, oltre che come cittadini, ci chiediamo quali siano davvero le condizioni di sicurezza in cui ogni giorno viaggiamo, e se non abbiamo il diritto di essere informati compiutamente degli eventuali rischi che comporta viaggiare in treno. Ci possiamo davvero fidare delle statistiche secondo le quali le ferrovie italiane sono tra le più sicure del mondo? Su “La Stampa” di oggi, 17 agosto, vi è un articolo sulla “Guerra dell’alta velocità” dove si descrive un Moretti (AD del gruppo FS) ossessionato dallo spettro della concorrenza dei privati e quindi impegnato in una politica di rigore che prevede il pugno di ferro contro “fannulloni” e “disfattisti”: dopo gli anni del lassismo e dello sbrago, il nuovo corso impone lo stile “legge e ordine” per rinserrare i ranghi e preparare le falangi allo scontro con le truppe dei Montezemoli e, ben nascoste nelle diverse cordate, dei cugini d’oltralpe SNCF e Deutsche Bahn. Certo, viene da dire che quando i buoi sono scappati, si chiudono le stalle, che questi provvedimenti suonano come le grida manzoniane e che, molto probabilmente, sortiranno gli stessi effetti. E’ abbastanza triste, sia detto per inciso, vedere come uno dei settori più strategici per il nostro Paese (come e più dell’iperprotetta Alitalia) stia finendo al centro di una lotta di potere per accaparrarsene le spoglie: dopo essere stato per anni utilizzato come serbatoio di consensi elettorali, ed essendo ormai scoppiato ed ipertrofico, il trasporto ferroviario è un vascello alla deriva. Moretti è nella ridotta e combatte strenuamente per salvare il salvabile (così almeno è convinto di fare), non esitando ad utilizzare il metodo della decimazione (colpirne uno per educarne 100), che tuttavia non servirà a ridare il morale a truppe rese esangui da gestioni che ne hanno mortificato la professionalità e premiato il clientelismo.

E' triste anche vedere come più nessuno (e meno che mai la sua dirigenza) crede nell'unica missione che davvero potrebbe salvare Trenitalia dal suo lento declino, ossia quella di tornare ad essere un'azienda al servizio dei cittadini, così come era in origine, e come è stata per un certo periodo, pur tra mille distorsioni e saccheggi, ricavando da questo orgoglio e dignità, senso di appartenenza e rinnovato spirito di servizio.
Sempre oggi, su Repubblica, l’ing. Soprano, AD di Trenitalia, a chi gli fa notare che vi sono altri rischi già segnalati dai viaggiatori e dai sindacati, come ad esempio le “porte tagliola”, che si chiudono inaspettatamente e hanno causato più di un incidente anche di una certa gravità, risponde che “tutte le volte che è successo è stata per incauta salita o discesa del viaggiatore mentre il treno era in movimento”, e io mi chiedo, ma quando questo incidente si è verificato contemporaneamente su 17 porte, il treno era forse in movimento? Io stessa più volte mi sono trovata in questa situazione, con la porta che improvvisamente si chiudeva e il treno era in sosta e perfettamente fermo. Ora io mi chiedo, non bisognerebbe licenziare l’ing. Soprano per le false dichiarazioni rese a mezzo stampa? O devono pagare solo i ferrovieri che denunciano i problemi di sicurezza?

mercoledì 13 agosto 2008

Licenziati 8 ferrovieri che non hanno timbrato personalmente il cartellino: una sanzione eccessiva


L’episodio che ha visto il licenziamento in tronco di 8 ferrovieri “pizzicati” a farsi timbrare il cartellino in anticipo sul termine dell’orario è una occasione per fare alcune riflessioni.

1) Che in Italia vengano da tempo immemorabile tollerate forme più o meno gravi di irregolarità, per non dire di illeciti, è cosa tristemente nota. Lo sprezzo delle regole è segno di furbizia, e solo i fessi si ostinano (per viltà? Per mancanza di creatività?) a rispettarle. Gli esempi sono davvero innumerevoli, da chi fa la spesa in orario d’ufficio a chi si dà malato e poi va a sciare, oppure partecipa a talk show in tv.

2) Che questi fenomeni determinino gravi danni per il buon funzionamento della società è altrettanto vero: in termini di mancata produttività e di aumento dei costi a carico delle tasche di tutti noi sono milioni e milioni di euro. Si pensi solo alle perdite di tempo in coda presso sportelli a mezzo servizio, o, appunto, sui mezzi di trasporto pubblici dove la carenza di personale provoca guasti e soppressioni.

3) Spesso il corporativismo e la difesa dei privilegi di alcune categorie ha fatto sì che non si reprimessero sul nascere abusi e malcostumi che poi si sono trasformati in diritti acquisiti, neppure più percepiti come azioni illegittime.

4) Il concetto di Servizio Pubblico è stato avvilito e umiliato dall’uso clientelare che se ne è fatto per decenni e decenni. Anche qui non si contano i casi in cui la meritocrazia è stata piegata alla logica degli interessi di questo o quel potente, in tutti i settori. Assunzioni, ma anche avanzamenti di carriera, aumenti di stipendio, bonus, ecc. assegnati senza altro criterio che quello del fare un favore a Tizio o a Caio, di certo non hanno migliorato il clima interno nelle varie aziende pubbliche, né incrementato la produttività o migliorato il servizio ai cittadini, che poi è davvero l’unico vero scopo dei servizi pubblici.

5) In una frase, il mezzo (l’apparato pubblico) è diventato il fine, relegando completamente in secondo piano il vero obiettivo, ossia la buona, corretta ed efficiente amministrazione della cosa pubblica.Detto tutto questo, Trenitalia, che non è certo una azienda che fa del rigore e della qualità del servizio nei confronti della clientela un punto di eccellenza, si ritrova invece ad applicare con implacabile severità una regola giusta in generale, ma assai spropositata nel caso particolare, e che suona assai più come un’azione di forza tanto per dimostrare che qualcosa, contro i fannulloni, si fa anche in ferrovia.

Probabilmente, anzi certamente, alcuni giorni di sospensione dallo stipendio avrebbero avuto un effetto molto migliore evitando di mettere sulla strada delle famiglie. Probabilmente una migliore organizzazione delle risorse umane avrebbero evitato a quegli operai dei turni supplementari, e con essi l’impazienza di fare ritorno a casa anche sorvolando sull’orario di lavoro. Probabilmente se ci fossero più risorse sui binari e meno negli uffici, anche l’efficienza complessiva e la produttività di Trenitalia aumenterebbero.

Pur se non si possono giustificare mancanze come questa, che sono e rimangono gravi, è giusto tuttavia, a nostro giudizio, valutare il quadro generale della situazione, senza lasciarsi prendere da un clima “giustizialista” che ci porta al capo opposto del problema, senza mai arrivare all’equilibrio che deve ricercarsi nell’efficienza del servizio pubblico unita alla giusta salvaguardia e messa in valore delle persone che vi operano.

Le due cose vanno di pari passo, non vi può essere servizio pubblico efficiente e davvero in linea con le esigenze dei cittadini se a fornirlo sono persone demotivate e screditate agli occhi propri e della società. La risposta è solo questa, ridare dignità al servizio pubblico significa rimettere al centro un sistema di regole da tutti rispettate, e adeguate risorse il cui impiego vada a beneficio del servizio reso, la cui qualità, misurata sulla soddisfazione degli utenti, dev’essere d’ora in avanti il parametro fondamentale di giudizio.

Auguro personalmente che la vicenda degli 8 ferrovieri genovesi possa trovare una diversa e più favorevole soluzione, e che nel contempo si inizi a lavorare per definire quello che io chiamerei “Patto sui Servizi Pubblici” che ne rilanci su basi del tutto nuove e orientate davvero alle attese dei cittadini il ruolo e il funzionamento.

lunedì 11 agosto 2008

Genova, ripartire dalla città

Leggevo oggi su un noto quotidiano genovese del nuovo orientamento che il Comune di Genova starebbe adottando nei confronti delle politiche urbanistiche, e mi riferisco in particolare al tema del “ricompattamento” dei tessuti urbani. Questo nuovo orientamento si configura come una netta alternativa alla pratica, molto diffusa qui e in altre grandi città negli scorsi decenni, di disseminare aree più o meno periferiche di insediamenti abitativi, commerciali, terziari, nella malcelata speranza di rivitalizzarli decongestionando nel contempo le aree centrali.

Questa pur lodevole intenzione si è scontrata ahimè con una scarsa, per non dire del tutto assente, politica dei trasporti pubblici, consegnando il tema della mobilità (dal quale pur occorreva partire!) alla casualità e al trasporto privato, che come era logico supporre ha significato porre le basi per un crescente congestionamento delle vie di comunicazione.

In realtà, se alcune esperienze europee (cito, su tutte, la Defence di Parigi) erano lì a dimostrare che è dall’organizzazione della mobilità che occorre partire prima di lanciare nuove grandi operazioni urbanistiche, in Italia non si è riuscita ad andare oltre la logica delle piccole speculazioni, i cui oneri di urbanizzazione non riuscivano per nulla a compensare le diseconomie indotte dalla carente pianificazione di infrastrutture per la mobilità e la socialità.

Ci si è trovati così di fronte a periferie sempre più isolate e difficili da gestire in termini di servizi, con alti costi quasi sempre ricadenti sulle spalle dei singoli cittadini, costretti dalla carenza di infrastrutture all’uso, sempre più costoso, dell’auto.
In alcuni casi i costi per realizzare infrastrutture si sono rivelati altissimi e a totale carico della collettività, che avrebbe potuto e dovuto saper meglio sfruttare le economie di scala muovendosi più in una logica di completamento, rispetto a quella delle realizzazione ex-novo.

Già nei mesi scorsi, commentando le dinamiche inerenti la mobilità ed in particolare la difficoltà crescente del trasporto pubblico di soddisfare le richieste di servizio provenienti dai cittadini, ebbi ad osservare come la dispersione urbana costituisca una scelta ad alto rischio, in quanto rende molto più costosi e poco efficienti i servizi di trasporto pubblico, e fa aumentare parallelamente la congestione dovuta all’aumento di autovetture circolanti.

Il modello della città policentrica, se basato esclusivamente o quasi sulla mobilità privata, porta inevitabilmente alla congestione e alla paralisi, annullando quegli ipotizzati effetti benefici che il decentramento prometteva, ma che si traducono sostanzialmente in aumento delle distanze da percorrere, senza che il traffico diminuisca di intensità.

Non posso quindi che concordare pienamente su questo “nuovo corso” inaugurato dal Comune di Genova, e augurarmi che tale orientamento sia di stimolo per riconsiderare tutte le scelte di futuri interventi, che a mio parere devono ora essere pianificati in quest’ottica che tenda, prima di tutto, alla razionalizzazione e ottimizzazione del tessuto esistente, rilanciandone le funzioni e riqualificandolo, ricercando l’equilibrio tra costi e benefici in funzione di un miglioramento complessivo della qualità della vita dei cittadini.

Vandalismi…

Distruggo, dunque sono
Una sera, passeggiando insieme a mio marito in una bella sera d’estate, mi sono imbattuta in un gruppo di adolescenti che stavano incitando animatamente un loro compagno molto impegnato a svellere dal suolo un segnale stradale. Con grande naturalezza, incurante degli eventuali passanti, il giovane impiegava tutte le sue energie in questa operazione, con l’evidente intento di portarla a termine. Al nostro richiamo e alle nostre rimostranze, il giovane, pur smettendo di compiere l’atto vandalico, opponeva una espressione di vaga ebetudine, che non lasciava per nulla presagire la comprensione della gravità della sua azione, interpretata al più come una semplice bravata. Gli amici si affrettavano a dire che non era nulla, che era tutto a posto, e così via. Abbiamo provato a spiegare che quello era un bene pubblico, pagato da tutti noi, e anche dai loro genitori, e così via, ma la sensazione era che quei giovani ben vestiti e ben pettinati non capissero una parola di quanto gli stavamo dicendo.

Istintivamente me la sono presa con quei ragazzi per la loro assenza di senso civico, per la futilità della bravata compiuta probabilmente, come oggi si usa dire, per vincere la noia e provare magari il brivido della trasgressione.

Proseguendo per la mia strada, pensavo con amarezza a quell’episodio, che si sommava in verità ad innumerevoli altri: cassonetti bruciati o divelti; verde pubblico deturpato; autobus, metro e treni massacrati e imbrattati, statue deturpate e mutilate, scuole devastate. L'Italia dei vandali ogni anno presenta a tutti noi un conto davvero molto salato. Secondo una indagine dell’ANSA, solo nel 2003 ammontavano a ben oltre 5 milioni di euro i danni pagati dallo Stato, soldi provenienti evidentemente dalle nostre tasche.

Vandalismo Istituzionale
Brunetta pubblica sul sito del Ministero le foto dei graffiti contro i “fannulloni”: bel gesto, quello di fare pubblicità ad un atto vandalico! Non è questo, invero, il solo esempio di vandalismo istituzionale: lo è anche, e di più, definire “cloaca” il CSM, oppure invitare due graziose neo-deputate del Pdl a disertare l’aula per gli incontri galanti, come fece Berlusconi all’inizio della presente legislatura; così come vandalismo istituzionale appare lo spreco di soldi pubblici che spesso inchieste e denunce giornalistiche fanno venire a galla. Anche i servizi poco efficienti, le lungaggini burocratiche, il poco rispetto per la res pubblica sono esempi, purtroppo diffusi, di vandalismo istituzionale.

Cos'è il valore sociale?
In un'accezione volutamente estensiva potremmo dire che il valore sociale è tutto ciò che contribuisce al miglioramento della vita sociale e quindi tutto ciò che contribuisce al rafforzamento della fiducia reciproca, al progresso civile, al conseguimento del bene collettivo, anche attraverso il riconoscimento in identità comuni, comprese le norme, anche non scritte, che regolano la convivenza, e in generale tutti gli elementi che migliorano l'efficienza dell'organizzazione sociale, promuovendo iniziative prese di comune accordo. Il capitale sociale è la capacità di creare e mantenere beni collettivi all'interno di un gruppo. In qualsiasi organizzazione umana, la presenza di valori sociali è in grado di orientare in senso positivo i comportamenti collettivi.
"Come altri tipi di capitale, anche quello sociale è produttivo poiché rende possibile il raggiungimento di certi scopi che non si otterrebbero se un determinato capitale mancasse. Ad esempio, un gruppo di persone i cui soci mostrano di avere fiducia gli uni negli altri potranno ottenere molto di più di un gruppo equiparabile in cui non vi è fiducia reciproca" ( C. Coleman).

I beni che formano il capitale sociale tendono ad autorinforzarsi e ad avere un effetto cumulativo, a produrre circoli virtuosi che hanno come risultato equilibri sociali con alti livelli di cooperazione, fiducia, reciprocità, impegno civico e benessere collettivo.
La maggior parte dei capitali sociali, come la fiducia, sono, secondo la definizione di Hischman, "risorse morali", ovvero risorse la cui fornitura aumenta invece di diminuire con l'uso e che si esauriscono se non sono usate.
A differenza delle altre forme di capitale (fisico, umano), quello sociale si riferisce alla struttura di relazione fra due o più persone, non risiede né negli individui né nelle componenti fisiche della produzione.
D'altro canto, anche la mancanza di questi elementi là dove la comunità civile è "meno civica" tende a rinforzarsi. La trasgressione delle regole, la sfiducia, il qualunquismo, lo sfruttamento, l'isolamento, il disordine e la stagnazione si intensificano in un miasma soffocante di circoli viziosi.
Le risorse morali sono un patrimonio accumulato dalle generazioni che ci hanno preceduto, sono un bene comune a cui chiunque, in certa misura, può attingere, ma dal modo in cui ne fruisce dipende la possibilità per lui di poterne fruire in seguito. La fiducia, la reputazione, ma anche la progettualità comune, sono la ricchezza dei sistemi di relazione; un cattivo uso di tale ricchezza provoca, per il singolo, l'esclusione dal sistema di relazione e per la comunità un impoverimento del patrimonio morale.

lunedì 4 agosto 2008

Grave incidente stradale a Ne: presentata interrogazione

Motivata dalla necessità di appurare eventuali problemi di sicurezza stradale (il conducente del camion è deceduto) e ambientale (il carico trasportato si è riversato nel torrente Graveglia) ho presentato una interrogazione presso la Provincia, di cui allego il testo:

INTERROGAZIONE
Su iniziative provinciali a seguito del ribaltamento di un camion e della morte del suo autista in Val Graveglia il 29 luglio 2008.


La Consigliera Sonia Zarino

In riferimento al grave incidente mortale avvenuto in data 29 luglio all’altezza del km 6 della strada Provinciale n. 26 della Val Graveglia, nei pressi della cosiddetta “curva del partigiano”, ai successivi gravi disagi causati dalla chiusura della strada, alle polemiche e ai timori dei cittadini di cui hanno dato riscontro stampa e televisioni locali;

Considerato che:
· il tema della sicurezza per i lavoratori – e nel caso in oggetto gli autotrasportatori - e per cittadini, visitatori e utenti della Strada provinciale n.26 della Val Graveglia è un tema di grande importanza ed urgenza;

· da diverso tempo giungono altresì segnalazioni da parte dei cittadini che ritengono possano essere trasportati e scaricati nelle cave materiali potenzialmente pericolosi per la salute e per l’ambiente;

Interroga il Presidente e gli Assessori competenti per chiedere:

  • quali azioni intenda perseguire la l’Amministrazione Provinciale per meglio tutelare la sicurezza degli autotrasportatori che operano nelle suddette zone;
  • quali iniziative, anche finanziarie intenda la Provincia mettere in atto per realizzare la messa in sicurezza della strada della Val Graveglia;
  • quali analisi e quali interventi sono stati svolti dall’ARPAL e/o dall’ ASL 4 a tutela dell’ambiente coinvolto nell’episodio, con particolare riferimento ai dati rilevati, ai punti di prelievo dei campioni (a monte e a valle dello sversamento) e alle cautele adottate, considerando che il camion era diretto ad una cava dove da tempo si stanno effettuando riempimenti utilizzando materiali di risulta in gran parte provenienti da altre regioni;
  • Se l’ARPAL per quanto sopra ha già riferito o intende riferire all’Autorità Giudiziaria Competente;
  • Se la Provincia di Genova non stia valutando l’ipotesi di apporre sulla strada provinciale apposita segnaletica che vieti il passaggio di camion che trasportano materiali pericolosi per l’ambiente e/o potenzialmente inquinanti.

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