martedì 16 marzo 2010

PERCHÉ L'ITALIA HA BISOGNO DI WOMENOMICS

Daniela Del Boca 16.03.2010

Tradizionalmente l'auspicio di una maggiore integrazione delle donne nel mondo del lavoro si fonda su principi di equità. Ora alcuni saggi sostengono che la valorizzazione delle donne risponde anche a criteri di efficienza economica. Un approccio particolarmente interessante per l'Italia, dove la partecipazione femminile è assai scarsa, le donne difficilmente arrivano ai vertici di aziende e istituzioni e anche la fertilità è bassa. Politiche e interventi che sostengano le scelte di lavoro e di famiglia possono far bene anche al nostro Pil.


Nell’ultima settimana sono usciti due libri dal titolo molto simile: Rivoluzione Womenomics e Womenomics. (1)Di che cosa si tratta?

DONNE ED ECONOMIA
La womenomics è stata introdotta da Kathy Matsui, analista di Goldman Sachs, e ripresa dall’Economist per definire la tesi che motiva l’esigenza di una maggior integrazione delle donne nell’economia non in base solo aprincipi di equità, ma anche in base a principi di efficienza economica.

Fino a qualche anno fa, la maggior parte degli interventi a favore di una maggiore integrazione delle donne nel mondo del lavoro si appellava ai principi di equità. Integrare e valorizzare le donne andava fatto perché era giusto. Ora, con questo e altri saggi e con interventi recenti che ne condividono l’approccio, si cambia il punto di vista. (2)Una maggiore integrazione e valorizzazione delle donne non risponde solo a principi di equità, ma risponde anche a criteri di efficienza economica.

Lo studio di Matsui si concentrava soprattutto sull’economia giapponese, da tempo in declino e caratterizzata da una partecipazione delle donne al lavoro e da una loro presenza nei ruoli direttivi tra le più basse fra i paesi sviluppati. Il Giappone è molto simile all’Italia. In ambedue i paesi troviamo insieme alla scarsa partecipazione femminile al lavoro, una bassa natalità e un forte ristagno economico. L’Italia è, in Europa, tra i paesi con i risultati peggiori in termini di differenziali di genere, in particolare con riferimento a lavoro e politica. Questo evidenzierebbe, specialmente per il nostro paese, un potenziale di crescita che un maggiore e migliore impiego delle capacità femminili consentirebbe di mettere a frutto. Chiudere il gap tra presenza maschile e femminile nel mondo del lavoro contribuirebbe anche ad alleviare il problema pressante della sostenibilità delle pensioni: l’aumento del numero degli occupati fra le persone in età lavorativa, infatti, ridurrebbe il cosiddetto “rapporto di dipendenza”, ossia quello fra pensionati e lavoratori.

IL CASO ITALIA
Un approccio di questo tipo è particolarmente importante per l’Italia, soprattutto in una fase in cui la posizione delle donne sembra peggiorare invece di migliorare. Secondo i dati Istat 2009, non solo il tasso di partecipazione femminile fermo nell’ultimo decennio al 46 per cento è in lieve diminuzione, ma anche il tasso di disoccupazione scende, soprattutto nelle regioni del Sud, un segnale di scoraggiamento e rinuncia. Il Gender Gap Index 2009 vede l’Italia al settantaduesimo posto, in caduta rispetto alle posizioni degli anni precedenti. Tra le donne, l’incidenza del precariato è cresciuta ed è oggi di più del 20 per cento, il doppio dei maschi. I tassi di natalità restano bassissimi e in lieve discesa negli ultimi due anni, mentre la povertà è in crescita tra le famiglie monoreddito: oggi i monoreddito sono il 72 per cento del quintile più basso e il 10 per cento del quintile più alto. Infine, le donne italiane sono meno rappresentate politicamente e meno rappresentate ai vertici delle istituzioni e delle carriere rispetto ad altri paesi. Secondo le statistiche della Commissione europea, il nostro paese è ventinovesimo (su trentatre censiti) per numero di donne presenti nei consigli d’amministrazione delle società quotate in borsa.

La composizione dei consigli d’amministrazione delle società del Mib30 mostra che su 466 cariche consiliari, soltanto undici sono ricoperte da donne. Eppure, anche in Italia le donne mostrano in vario modo il loro desiderio di investire nel lavoro. Come nella maggior parte dei paesi sviluppati, i tassi di istruzione femminili sono più alti di quelli maschili, le ragazze escono con voti migliori e arrivano ai titoli di studio in un tempo più breve. Escono anche prima dalla famiglia d’origine: almeno due-tre anni in media prima dei coetanei maschi. Se a metà degli anni Novanta le donne italiane intorno ai trent’anni che avevano già formato una unione di coppia erano circa il 65 per cento, nel 2009 quel valore è sceso a un terzo, uno dei più bassi d’Europa, mentre l’età media alla nascita ha superato 30 anni, una delle più alte d’Europa. Tutto ciò è segno dell’impegno e del desiderio delle donne di partecipare in modo attivo e continuativo al mercato del lavoro, ma anche del caro prezzo che stanno pagando. Perché allora le imprese non cercano di sfruttare di più questo capitale umano e questo potenziale di lavoro altamente qualificato? Non solo le ricerche macro mostrano una relazione tra occupazione femminile e crescita economica, le ricerche micro mostrano che sono proprio i gruppi di lavoro “misti” a essere più produttivi dei gruppi tutti maschili o tutti femminili. (3) Se nella maggior parte delle imprese, ma - aggiungiamo noi - anche nella maggior parte delle istituzioni, i comitati esecutivi e i consigli d’amministrazione sono formati esclusivamente da maschi fra i 50 e i 65 anni, il reclutamento e le progressioni di carriera femminili seguono i criteri del genere dominante e sono basati su quella cultura e quel linguaggio. Tuttavia, aggiungiamo ancora noi, l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro è stato anche il risultato di una “mascolinizzazione” dei modelli femminili, mentre niente di analogo è avvenuto nei modelli di carriera e negli stili di leadership maschili. Da un lato, le culture aziendali sono rimaste caratterizzate da modelli, da stili e da tempi di lavoro “maschili”, anche quando le imprese hanno cominciato a popolarsi di schiere di personale femminile. Dall’altro, come mostrano i confronti internazionali, alla crescita della partecipazione al lavoro femminile è corrisposta una scarsa o nulla crescita della partecipazione degli uomini al lavoro domestico e di cura dei figli anche quando le donne lavorano con orari simili e in particolare in Italia. In questo quadro è importante cercare di rendere le politiche di conciliazione, part-time e congedi di genitorialità, più gender-neutral. Servono cioè politiche o interventi che sostengano le scelte di lavoro e di famiglia di uomini e donne. Nei paesi scandinavi e in Francia, le politiche pubbliche sostengono uomini e donne che lavorano: i congedi non troppo lunghi sono fruibili da ambedue i genitori, anche part time, sono stati introdotti servizi di vario genere e tipologia per i genitori, è previsto il telelavoro da casa, sempre per ambedue i genitori. E in quei paesi, la partecipazione femminile al mercato del lavoro e la fertilità sono più alte che nel resto d’Europa.

(1) A. Wittenberg-Cox e A Maitland Rivoluzione Womenomics, Il Sole 24Ore, 2010 eClaire Shipman eKatty KayWomenomics, Cairo 2010.

(2) Ferrera M. Il fattore D, Mondatori 2007

(3)Come mostrano i calcoli di una ricerca di Goldman Sachs citata in Rivoluzione Womenomics, colmare il gap occupazionale di genere potrebbe produrre incrementi del Pil del 13 per cento nell’Eurozona, del 16 per cento in Giappone e ben del 22 per cento in Italia.

martedì 9 marzo 2010

Parole, Pensieri: per dare un senso a questa storia

Il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita.

Enrico Berlinguer, 7 giugno 1984

sabato 6 marzo 2010

8 Marzo: nel ricordo di tutte le donne che lottarono e ancora lottano per i diritti, il lavoro, la dignità

L’8 marzo prossimo è il centenario di una ricorrenza, la Giornata Internazionale della Donna, che fu celebrata per la prima volta nel 1910 su iniziativa di Clara Zetkin a Copenaghen durante la Conferenza internazionale delle donne socialiste.

La Giornata della Donna fu istituita per invitare alla riflessione sulla condizione femminile e per organizzare lotte che portassero al miglioramento delle condizioni di vita delle donne: così l’8 marzo assunse nel tempo una importanza mondiale, diventando il simbolo della lotta contro le vessazioni e le ingiustizie subite per secoli.

Molti anni sono passati da quel giorno, e anche questa ricorrenza, al pari tante altre, ha subito una involuzione in senso puramente consumistico e commerciale, venendo anche svilita nel suo senso più profondo e ridotta a occasione di intrattenimenti di dubbio gusto.

Eppure le condizioni che resero l’8 marzo una giornata così importante non sono state rimosse: le donne subiscono ancora molte ingiustizie e discriminazioni e sono spesso oggetto di violenza fisica e psicologica.

Secondo quanto riferisce l’ONU in un recente rapporto, due terzi della popolazione femminile adulta del mondo non sa leggere e scrivere. Ogni giorno muoiono di parto 1500 donne e vi sono paesi dove le donne hanno meno diritti degli uomini.

Venendo all’Europa, un'indagine conoscitiva dell'Istat ha mostrato che con il protrarsi della crisi economica, le condizioni del mercato del lavoro sono andate peggiorando in particolare per il lavoro femminile, il cui tasso di occupazione nell'insieme dei paesi dell'Ue ha registrato, nel corso del 2009, progressivi arretramenti, posizionandosi al 58,7 %.

Per l’Eurispes il ruolo e la condizione della donna oggi in Italia presentano il rischio di una pericolosa involuzione culturale, sociale ed economica.

Anche sul piano culturale, le rilevazioni effettuate dall’Eurispes mostrano la persistenza di vecchi incrostazioni e luoghi comuni: pensiamo, solo per fare un esempio, a quel 40% di uomini che ritiene che la cura della casa sia soprattutto compito della donna.

In materia di spesa pubblica per la famiglia, la casa e l’esclusione sociale, l’Italia si colloca al penultimo posto della graduatoria europea, cui dedica appena l’1,1% del Pil, contro una media della Ue a 15 pari al 3,4%.

Le donne continuano inoltre ad essere le principali vittime di violenze fisiche e psicologiche: ben 1 milione e 150.000 in Italia nel 2006, e solo pochissime hanno sporto denuncia. Sembra incredibile, ma ancora oggi la mortalità delle donne tra i 15 e i 55 anni è causata da molestie e violenze più che da incidenti e malattie, e questo nonostante le leggi che sono state varate per tentare di arginare il fenomeno.

Oltre a tutto ciò, assistiamo nel mondo “occidentale” ad una sempre più marcata mercificazione del corpo femminile, ridotto a puro media promozionale per la vendita di beni e servizi, quando non esso stesso oggetto di vendita e di scambio di favori e potere. La sottocultura del velinismo, che ha nuovamente relegato la donna a ruoli di cornice e di puro intrattenimento, ha raggiunto un grado di penetrazione nella società impensabile solo alcune decine di anni orsono, segnando un pauroso regresso nel grado di autocoscienza da parte delle giovani generazioni.

Basterebbero questi argomenti, ma non sono i soli, a farci dire che occorre una forte ripresa delle tematiche che ruotano attorno alla questione femminile: l’azione politica del Partito Democratico deve continuare a farsene carico e proporre soluzioni in grado di dare risposte concrete e alternative al vuoto di senso prodotto dall’ideologia della destra. Occorre investire di più nell'educazione al rispetto della donna, del suo corpo, della sua dignità e libertà. La violenza sulle donne, come le altre forme violente di discriminazione e oppressione, nasce dal mancato rispetto di principi e valori fondamentali sanciti dalla Carta costituzionale, e su questo occorre un forte e costante impegno, a tutti i livelli.

Le donne, la politica e la società
Gli ultimi mesi hanno portato al centro del dibattito pubblico e istituzionale la scarsa presenza delle donne in politica. Il tema si affianca a quello, più generale, sulle pari opportunità, ed ha portato ad interrogarsi sugli elementi che possono fornire effettiva sostanza a tale principio. L’uguaglianza formale non garantisce eguali condizioni di partenza. Da questo punto di vista, le quote rosa o, più in generale, le misure volte a favorire un trattamento speciale nei confronti del genere femminile, mirano a contrastare la dinamica per cui le donne continuano ad essere discriminate e lontane dalla politica e, in generale, da tutti i posti decisionali.

Che vi siano difficoltà alla realizzazione di una rappresentanza di genere più equilibrata delle donne in politica e, in generale, nelle cosiddette “stanze dei bottoni” è una realtà da tutti riconosciuta, mentre sono diversi gli approcci seguiti per farvi fronte.

Il nostro segretario, Pier Luigi Bersani durante il discorso di insediamento dell’Assemblea Nazionale, ha affrontato l’argomento affermando che il PD è un partito che “non accetta una posizione discriminata delle donne nell’economia, nella societá, nelle istituzioni. Nei centri decisionali, c’è il cuore della discriminazione che deve essere affrontata con interventi normativi su un sistema transitorio di quote che il Partito democratico deve avanzare sollecitando un movimento di opinione”.

E se una legge sulle quote rosa da sola non basta, perché occorrono anche azioni che possano favorire una maggiore partecipazione delle donne alla vita pubblica (misure di conciliazione famiglia lavoro, più asili nido, maggiore ripartizione dei carichi familiari tra i due sessi), è certo che su questo tema occorre insistere molto nei mesi a venire perché le donne possano essere messe nelle condizioni di dare il loro contributo allo sviluppo della società e del Paese.

Buon 8 marzo, a tutte e a tutti, perché sia davvero una giornata di riflessione e di festa.

lunedì 1 marzo 2010

Sciopero dei Lavoratori Migranti

Oggi si svolge il primo sciopero dei lavoratori migranti: è una grande occasione per riaffermare i diritti di tutti i lavoratori, italiani e stranieri, regolari e irregolari: perchè chi lavora ha diritto a ricevere una retribuzione adeguata e adeguate protezioni sociali, ha diritto a non essere sfruttato e deve vedere riconosciuta la propria dignità. I diritti o sono per tutti o non sono per nessuno, per questo difendere i diritti dei migranti equivale a difendere anche i nostri stessi diritti.

Il PD ha aderito allo sciopero dei migranti e invita tutti a partecipare alla manifestazione di domani.


LUNEDI 1 MARZO CON CONCENTRAMENTO ALLE 18.00 IN PIAZZA COMMENDA-GENOVA PARTIRA' IL CORTEO PER LA GIORNATA DEI MIGRANTI CORTEO CHE ATTRAVERSERA' TUTTO IL CENTRO PER CONCLUDERSI IN PIAZZA MATTEOTTI.

Insieme contro il razzismo e le discriminazioni
un 1 marzo di mobilitazione per i diritti e la dignità

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