venerdì 3 ottobre 2008

Morire di lavoro, la strage infinita

Ieri, 2 ottobre, una ennesima tragica notizia mi ha particolarmente colpito per la modalità con la quale è accaduta: un operaio che stava lavorando alla posa di un tubo per la captazione del biogas nella discarica di Scarpino, a Genova, è caduto, dopo essere scivolato sul terreno sdrucciolevole e poco compatto, all'interno di un cunicolo di circa 80 cm. di diametro e, dopo una caduta di circa 18 metri è morto asfissiato dai gas mefitici e dagli oltre 70° di temperatura presenti sul fondo.
Una morte orribile, che forse poteva essere evitata con una semplice imbragatura, una cintura attorno ad una vita. Ma non si è pensato a farla indossare, ed un giovane di 33 anni è morto, e nulla hanno potuto fare i suoi compagni che hanno assistito, atterriti, al tragico evento, come si dice in questi casi. Ora il corpo è ancora laggiù, i tentativi di portarlo alla superficie non hanno ancora avuto buon esito e giace sotto quintali di rifiuti, aumentando se possibile lo strazio verso quella vita spezzata troppo presto dalla noncuranza con cui spesso, troppo spesso, si ignorano le più elementari norme di sicurezza. Come si può lavorare senza protezioni stando sull'orlo di un abisso di 18 metri, in fondo al quale di certo c'è la morte? I responsabili parlino e diano una spiegazione, se la possono fornire, ma certo è che questa pare una di quelle tragiedie evitabili e che si dovevano evitare, ma che invece si sono verificate e non mi sembra accettabile definirle delle fatalità.

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