lunedì 25 giugno 2007

Non è il PIL l'indicatore del benessere sociale

Italia quattordicesima per il Pil ma ultima per benessere sociale

ROMA - Fa parte dei primi sette Paesi più industrializzati del mondo, per Pil pro capite è quattordicesima, ma, se si considera in senso ampio il livello di benessere della popolazione, l'Italia precipita al penultimo posto (ventitreesimo su 24 paesi presi in considerazione), seguita solo dal Giappone. E' il risultato di una ricerca condotta dal Cer (Centro Europa Ricerche) per conto dello Spi - Cgil, "Indicatori di benessere e politiche sociali: modelli a confronto". Dall'indagine non solo si conferma l'alto grado di diffusione della povertà in Italia (l'11 per cento delle famiglie italiane e il 13 per cento delle persone si colloca al di sotto della soglia di povertà, con punte che superano il 25 per cento nel Mezzogiorno), ma emerge anche un alto tasso di sperequazione nella distribuzione del reddito, inferiore solo a quello del Portogallo (la media del reddito delle famiglie più ricche è infatti otto volte superiore a quello delle famiglie più povere). Una situazione che, suggerisce il Cer, può essere adeguatamente superata solo se le politiche sociali verranno considerate dal governo in carica e da quelli a venire "come veri e propri strumenti di crescita", come sono stati e sono nei Paesi scandinavi.
(…)per attuare una corretta politica sociale, spiega il presidente del Cer Giorgio Ruffolo, è fondamentale anche "superare il principio che per misurare le condizioni di un Paese si debba considerare solo il Pil, un indicatore che è come la Rai, di tutto di più. E' necessario considerare invece un indicatore composito, che misuri il benessere". Anche perché, come dimostrano le eccellenti performance dei Paesi scandinavi, "tra indicatori di ricchezza e indicatori di benessere sociale c'è uno stretto legame. In una società equilibrata ricchezza, benessere e cultura si codeterminano". Gli "indicatori di benessere" utilizzati dal Cer si possono raggruppare principalmente nel fattore "dimensione della spesa pubblica per interventi in campo sociale", ai quali si affiancano vari parametri legati alla diffusione della cultura e all'utilizzo delle nuove tecnologie. I risultati non sono troppo sorprendenti: innanzitutto, "laddove più elevata è la spesa sociale, più equilibrata è la distribuzione del reddito, e viceversa". Inoltre "i Paesi che prestano maggiore attenzione alle politiche sociali sembrano essere anche quelli dove più rapidamente ha avuto inizio l'utilizzo di nuove tecnologie". Infine, "vale la pena di notare come la maggiore attenzione sul versante delle politiche sociali sia correlata a una minore incidenza del tasso di disoccupazione, sia generale, sia riferito alla popolazione giovanile". Ovviamente i Paesi virtuosi sotto il profilo misurato da questo indicatore composito alternativo al Pil sono i Paesi scandinavi: in testa la Danimarca, seguita da Svezia, Finlandia, Norvegia e Nuova Zelanda. Mentre all'ultimo posto c'è il Giappone, preceduto da Italia, Grecia e Stati Uniti. Tutti Paesi che, osserva il Cer, "sembrano accumunati dalla scarsa attenzione prestata alle politiche sociali", ma soprattutto dalla circostanza che le politiche sociali non vengono considerate fattori di crescita dell'economia. E' anche per questo, a causa di "politiche di sostegno quantomeno insufficienti e comunque inefficaci", che, osserva il Cer, "le famiglie italiane povere sarebbero tali anche se vivessero in Paesi caratterizzati da valori di reddito pro-capite inferiore ai nostri, come sono Portogallo, Spagna e Grecia". Si parla infatti, per le famiglie in fondo alla scala distributiva, di redditi inferiori a 5.000 euro annui. Stanno peggio le famiglie con figli del Mezzogiorno, quelle che hanno come persona di riferimento una donna, un disoccupato o un anziano. All'interno della tipologia contrattuale, sono soprattutto i parasubordinati (21%) a registrare una povertà reddituale. Il Cer non si limita a valutare la povertà misurando il reddito, ma considera anche la "privazione di base, definita come la non disponibilità di alcune facoltà essenziali, quali la possibilità di riscaldare la casa in modo adeguato, effettuare almeno un periodo di vacanza all'anno, sostituire i mobili fatiscenti, acquistare vestiti nuovi, mangiare carne, pollo o pesce, uscire con gli amici, pagare le bollette". Ebbene, anche rispetto a questo parametro, l'Italia è accumunabile ai Paesi a reddito più basso: in una graduatoria basata su dati Eurostat che prende in considerazione infatti nove Paesi europei, è vicina a Spagna, Portogallo e Grecia, e molto lontana da Danimarca, Olanda, Belgio, Francia e Irlanda.
(da La Repubblica, 25 giugno 2007)

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